Folklore calabreseI Calabresi, tenacemente ed amorosamente attaccati alle proprie abitudini, hanno conservato molte testimonianze della loro vita di un tempo. Le hanno conservate negli usi e nei costumi, nel linguaggio e nei canti, nelle danze, nella musica e nelle feste, nelle processioni, nelle cerimonie che accompagnano la nascita, le nozze, la morte ed altri importanti avvenimenti, nelle poesie e nelle leggende. Tutto ciò costituisce le "tradizioni" o il folclore. Tradizione deriva dal latino tradere che vuol dire consegnare, tramandare. Col termine folklore, dall'inglese folk (popolo) e lore (insieme di tradizioni) vengono definiti la cultura e quel complesso di usi e costumi, riti e credenze che erano alla base delle comunità del passato. La dura fatica dei nostri avi, le loro ansie ed aspirazioni, il sentimento religioso, le regole di comportamento valide per ogni circostanza trovano, specialmente nei proverbi, la loro codificazione. I dialetti calabresi
I dialetti calabresi sono idiomi ricchi di influenze linguistiche, dovute alle colonizzazioni, le dominazioni e le incursioni di differenti popoli. Principalmente comunque sono composti dalle lingue classiche: il greco e il latino. I dialetti calabresi sono di tipo meridionale estremo (i parràti calabbrìsi definiti anche tricalabro o siciliano da Ethnolongue) nella parte centro-meridionale della Calabria e di tipo napoletano ('e parràte calabbrìse) nella parte settentrionale. Tale divisione linguistica corrisponde molto approssimativamente alla storica divisione amministrativa delle "Calabrie": Calabria Citeriore (o Calabria latina) e Calabria Ulteriore (o Calabria greca). I dialetti calabresi sono fra i dialetti italiani che più di altri hanno attirato l'attenzione degli studiosi per le proprie peculiarità e le radici in tempi antichi. L'evidente diversità linguistica nell'ambito della stessa regione, il rapporto tra impronta greca (grecanica) e storia della Calabria, la più o meno precoce latinizzazione ed i "relitti" lessicali di altre lingue, la forte presenza della minoranza arbëreschë, sono oggi argomento di studio e discussione di glottologi e linguisti. Chi voglia infatti paragonare i dialetti italiani della Calabria meridionale con quelli parlati nella Calabria del nord, non può non notare il forte contrasto esistente. Un esempio è la forma del tempo perfetto indicativo (che include passato remoto e passato prossimo italiani), che ha due forme nelle due diverse zone: nel Nord-Calabria è un tempo composto, simile al passato prossimo italiano; nel Sud-Calabria invece, è un tempo semplice che ricorda il passato remoto italiano, da cui il grande errore di chiamare "passato remoto" questo tempo anche in calabrese (in realtà equivale esattamente al perfetto latino, dal quale deriva). Le danze
La Tarantella La Danza popolaresca, a carattere regionale, è la tarantella, la quale tuttavia cambia, nell'impostazione e nelle figure, da zona a zona e persino da paese a paese. Ballata sugli spazi dei villaggi, nelle feste padronali o sulle vie in occasione della vendemmia o dei raccolti ma anche al chiuso, in casa o nei saloni per feste private, ricorrenze o meno, da cui "ballu nto sularu". La musica è offerta dagli strumenti tradizionali: la zampogna e i tamburelli. Il più delle volte danzano soltanto gli uomini e la tarantella assume l'andamento di un duello, in cui si fanno le finte dell'attacco e della difesa. Il cerchio d'attorno detto "rota" prende parte ad esso sottolineando con grida e battiti di mani il ritmo della musica e i passi dei ballerini. In alcuni paesi la tarantella è danzata a due alla volta, a coppie alterne, a volte regolate da un "mastru di ballu" a volte con cambi spontanei. La Viddhaneddha L'espressione tipica del ballo calabrese è la cosiddetta viddhaneddha. Le occasioni di ballo erano svariate: dalla festività religiosa a quelle familiari (nascita, fidanzamento, matrimonio) a quelle agresti in coincidenza con determinate evenienze (vendemmie, trebbiature, tosature delle pecore, etc.). Per quanto riguarda gli strumenti il filo melodico e affidato all'organetto, che sostituisce ormai quasi sempre la zampogna. La scansione ritmica e assicurata dal tamburello, originato dal tympanon dalla chitarra (non frequente), dallo "'zzarinu" (acciarino = triangolo di ferro percorso da una bacchetta metallica) dalla "scartagnetta" o "castagnetta" (vale a dire dallo scrocchio delle dita), ad imitazione degli ellenici crotali, oppure dal battito delle mani del ballerino. In talune tarantelle dell'alta e media Calabria si usa ancora una grancassa percossa con un grosso mazzuolo ricurvo. Molto più significativo e invece il simbolismo dei passi di danza, sia che avvenga con coppia omogenea che con coppia mista. Prima delle danze si proponeva la delimitazione dello spazio circolare entro cui il ballo doveva aver luogo. Era quasi una rievocazione simbolico spaziale del territorio di appartenenza tribale: il villaggio, il paese, il rione. Finalità recondita ne era la simbolica conquista, il predominio. A dirigere le danze veniva tacitamente e preventivamente prescelto il capo carismatico: l'uomo di maggior rispetto e di conclamata abilità, il capofamiglia, il padrone di casa. Era questi il "mastru d'abballu" (il maestro di ballo) che alle prime note dei suonatori si disponeva al centro del cerchio, quasi ad avocare su di sé il potere derivante dal suo carisma, e dopo i primi accenni di danza si dirigeva verso gli spettatori fra i quali sceglieva il compagno o la compagna. Lo faceva con un gesto lento, gentile e spavaldo allo stesso tempo, con un lieve inchino e dopo aver salutato toccandosi la fronte con le dita ripiegate della mano destra. Dopo qualche giro si riavvicinava agli astanti e con le stesse modalità invitava a sostituirlo un altro ballerino, occupandone il posto fra il pubblico. Dopo un certo lasso di tempo si reinseriva nella danza sostituendo il primo entrato con la formula: "fora 'u primu" (fuori il primo). Continuava così alternandosi costantemente fino alla fine delle danze. In alcuni comuni non era neanche immaginabile ribellarsi alla direttive espresse del mastru d'abballi: se ne accettavano umilmente le decisioni. La Vala degli Albanesi In alcuni paesi di origine albanese il martedi dopo Pasqua, per la celebrazione della tradizionale festa nazionale, si svolge una pittoresca manifestazione la cui parte centrale è costituita da una danza detta "vala". La "vala" è una specie di quadriglia che viene ballata all'aperto da schiere di donne vestite coi loro sfrzosi costumi d'origine e guidate per le strade da un solo cavaliere. Al ritmo della "vala" si accompagnano armoniosi cori, che celebrano le gesta di guerra dei famosi eroi d'Albania nella secolare lotta contro i Turchi invasori. Le persone che non partecipano direttamente alla "vala", ma fanno corona d'attorno, spesso sono travolte nel quadrato della danza e allora spetta loro il dovere di offrire dolciumi e bevande. Lu Cacciattacci Canto lento e noioso, lunghissimo e implacabile, che mette a dura prova la resistenza dei ballerini e de loro...scarponi, sino a far saltare i chiodi (attacci) dalle suole. Al ritmo del "cacciattacci" ballano soltanto gli uomini e, quando non ne possono più, essi rientrano nella folla che fa cerchio alla pista, sostituiti da altri più freschi e riposati. Ceramiche e terrecotte
La produzione di ceramiche e terrecotte, in Calabria, è influenzata dalla tradizione e dalla cultura delle popolazioni che, nei secoli, hanno abitato questa antica regione. Una delle caratteristiche della ceramica calabrese è l’utilizzo frequente di simbolismi e di ritualità di ispirazione magica. Di gran pregio la produzione dei graffiti, delle maschere, dei pinakes, dei pastori in ceramica. Da segnalare, nella provincia di Reggio Calabria, le terrecotte di Gerace e le giare di Roccella Ionica . A Gerace, in armonia con la sua antica storia, si producono pezzi artistici singolari che vanno dai "pinakes" (tavolette di ceramica lavorate) alle statuine e agli oggetti di vario tipo anche lasciati con il colore naturale dell’argilla cotta.In questo centro calabrese la modesta produzione non riesce a soddisfare le richieste dei tanti turisti che, in ogni periodo dell’anno, visitano il paese. A Bisignano si continua la tradizione millenaria tramandata da generazioni e di cui si trova traccia anche in un antico documento datato 1573. La caratteristica delle terrecotte smaltate che si producono in questo angolo della Calabria è l’ornamento in azzurro su un sostrato bianco, di carattere popolareggiante, che riprende un disegno ritrovato nei resti ceramici dell’antica Sibari. Alcuni Proverbi e Detti popolari
Quandu u ciuccio 'on mbola ma viva a voglia co frishi. (Quando l'asino non vuole bere è inutile insistere) I guai da pignàta i sapa a cucchijàra chi i manìja. (I guai della pignatta li conosce il cucchiaio che li mescola.) U mònacu chi fuja sapa i fatti soi. (Il monaco che corre sa i fatti suoi.) Quandu u diàvulu t'accarìzza vola l'anima. (Quando il diavolo t'accarezza vuole l'anima.) Occhiu 'on vida cora 'on dola. (Occhio non vede cuore non soffre.) Senza sordi 'on si'nda dinnu missi. (Senza soldi non si dicono le messe) Parri do Diàvulu e spuntanu i corna. (Parli del diavolo e spuntano le corna.) A vecchiaia è na carogna. (La vecchiaia è una rovina.) Passanu l'anni e criscianu i malanni. (Col passare degli anni aumentano i malanni.) La lancèdda cù la pètra nò' po' vincìre. (La fragilità dei deboli non compete con la solidità dei fori.) Lu gàbbu cògghie e la jestiìma no'. (Chi palesa meraviglia delle altrui disgrazie, esprimendo facili giudizi negativi, sarà un giorno la stessa vittima.) Cu' ride de' vènneri ciànge lu sàbatu. (Tutti i venerdi richiamano la morte di Gesù: essere quel giorno allegri è di cattivo auspicio.) Si 'ncùnu ti dùmanda: dùve vai? rispùnda ca no' lu sai. (Per prudenza, non confidare agli altri i tuoi progetti.) 'Abitu no' 'ffà mònacu e chìrica no' 'ffa prìavite. (Il saio dei frati e la tosatura dei sacerdoti non indicano nobili vocazioni.) Fài chiddu chi dìcu ma nò chìddu chi fàzzu. (Prendi esempio delle prediche e non dalle condotte.) Lù veru mònacu à lu cummìantu tòrne. (Il monaco dalle vocazioni genuine non perde mai di vista il convento.) Senza Santi no' 'ssi va' 'mparadisu. (I santi protettori,e non solamente nel senso religioso, aiutano a raggiungere traguardi ambiti.) Quandu u sceccu non boli i mbivi é inutile ca frischi (Quando uno non vuole fare una cosa è inutile insistere ) A gatta prescialora faci i gattuzzegli orbi (Le persone che fanno le cose in fretta commettono gravi errori ) Calabrisi e mulii mai suli (I calabresi e i muli hanno in comune la testardaggine ) Si Cola cacava non moria buttatu (Se non gli succedeva niente era sano) Non si poti ndaviri a gutti china e a muggheri mbriaca (Non si può avere tutto , ma bisogna accontentarsi di qualche cosa ) Mejju n'ovu oi ca na gaglina domani (É meglio accontentarsi dell'uovo oggi anziché la gallina domani ) 'A carni va cu ll'ossu. (La carne con l'osso è più saporita) Amaru cu u porcu no 'mmazza,a li travi soi non mpicca sarzizza. (Nelle case in cui non si ammazza il maiale dalle travi non pendono salsicce) 'A trigghia no 'a mangia cu' 'a pigghia. (La triglia non la mangia chi la prende: è un pesce molto ricercato e destinato a chi può spendere) Cu' dijuna du mali fa: l'anima perdi e o' mpernu va. (Chi digiuna fa doppio male: non salva l'anima e va all'inferno) Pa saluti ci voli puru 'u salatu. (Per una buona alimentazione sono necessari anche i salami e le altre cose che si fanno col maiale) 'Cu non poti mangiari ' carni si mbivi u brudu. (Chi non può mangiare la carne è costretto ad accontentarsi del brodo) D'a morza veni 'a forza. (Per esser validi e forti bisogna nutrirsi bene) E' megghiu sucu 'e vinazzu e nno acqua 'e critazzu. (Per quanto possa essere non buono, il vino è sempre da preferire all'acqua) Amura e cerasi cchiù ndi menti e cchiù ndi trasi. (Più si mangiano more e ciliegie più se ne desiderano) Pisci cottu e carni cruda. (Il pesce deve essere ben cotto, mentre la carne è più saporita se cotta poco) Risuni e maccarruna dopu 'n'ura si diijunu. (Riso e maccheroni non hanno grande valore nutritivo e si digeriscono rapidamente) 'U mangiari senza 'mbiviri è comu 'u nuvulatu senza chiòviri. (Senza vino non si può mangiar bene) 'U vinu 'a vita allonga, ll'acqua accurcia ll'anni. (Il vino allunga la vita, l'acqua l'accorcia) 'Cu mangia di bon'ura ccu nu pugnu scascia nu muru. (Chi fa una buona colazione al mattino può affrontare con vigore la fatica) A ggutti a gutti si sbacanta a bùtti. (Goccia a goccia si finisce il contenuto della botte) A ttavula e a mmugghieri n'vicinati cu boni maneri. (Alla tavola e alla moglie accostati con buone maniere) 'Cu mangia erba, pecura diventa. (Chi mangia erba pecora diventa) Carni 'i porcu e ccàvuli 'i ortu, cu non sì mangia si trova mortu. (Carne di maiale e cavoli di orto, chi non ne mangia non guadagna salute) I Santu Martinu si iaprunu i butti e si prova lu vinu. (A San martino si aprono le botti e si assaggia il vino) Fami rretrata pitittu scuncertàtu. (Fame arretrata appetito smisurato) Falla comu tu voi la bella pasta, 'u furnu 'a conza e llu furnu a guasta. (Fa la pasta bella quanto vuoi, ma è il forno a guastarla e ad aggiustarla) Pignata visitata mai bugghi. (Pentola guardata non bolle mai) Megghiu pani nìgru ca fami sicura. (Al niente è sempre preferibile il poco ed il mediocre) Megghiu pani e cipudda a' casa tua ca pisci e carni a casa d'attri. (Meglio poco nella casa propria che molto a casa d'altri) |