Leggende e Miti di Calabria
L'oracolo di
Capo Vaticano
A lungo considerato luogo
inaccessibile e sacro, Capo Vaticano, con il suo promontorio magico, si
affaccia sul mar Tirreno nella provincia calabrese di Vibo Valentia. La
magia salta agli occhi già dal nome: Vaticano deriverebbe infatti dal
latino Vaticinium, che significa oracolo, responso, a rievocare una
leggenda che vuole la punta estrema del promontorio abitata dalla
profetessa Manto. A lei si sarebbero rivolti i naviganti prima di
avventurarsi tra i vortici di Scilla e Cariddi e lo stesso Ulisse,
scampato agli scogli del pericolo, avrebbe chiesto auspici a Manto circa
la prosecuzione del suo viaggio. Ricorda le antiche origini di questo
mito anche lo scoglio che sta davanti al capo e porta il nome di
Mantineo, dal greco Manteuo, dò responsi. Sotto il promontorio si
distendono spiagge di sabbia bianca e finissima, lambite da un’acqua
cristallina. Tra le spiagge più suggestive Torre Ruffa, teatro di una
triste e leggendaria vicenda. Rapita dai Saraceni, la bella e fedele
vedova Donna Canfora si sarebbe gettata dalla loro nave al grido: “Le
donne di questa terra preferiscono la morte al disonore!”. Proprio per
onorarne il sacrificio il mare cangia colore ad ogni ora ad assumere
tutte le sfumature dell’azzurro velo che ne cingeva il capo, mentre
l’eco delle onde che s’infrangono contro la battigia altro non sarebbe
che lo struggente lamento con cui Donna Canfora saluta ogni notte la sua
amata terra.
Pagine piene d’amore furono invece dedicate a questa terra dal veneto
Giuseppe Berto che scelse Capo Vaticano per dimora e definì questo
tratto di litorale “Costabella”, molto contribuendo allo sviluppo
turistico della zona.
Un tempo arido e selvaggio, oggi il promontorio è un giardino
incantevole, un affaccio naturale sul mare con una delle viste più
sorprendenti sulle isole Eolie.
La pietra del diavolo
Sul monte che sovrasta la cittadina di Palmi, un uomo dal volto nero,
con un gran sacco sulle spalle, si presentò al Santo Elia, che se ne
stava in solitaria meditazione. L’uomo, che era il diavolo, aprì il
sacco e mostrò al Santo una grande quantità di monete.
Raccontò che aveva trovato l’ingente fortuna in un casolare abbandonato
e pensava di poterla dividere col Santo, il quale, invece, prese le
monete e cominciò a lanciarle lungo la china: mentre rotolavano si
tramutavano in pietre nere, di quelle che ancora oggi si possono
reperire sul monte.
Contrariato, il diavolo balzò in piedi, ma, all’improvviso, alle sue
spalle si aprirono due grandi ali nere di pipistrello, con le quali egli
si alzò in volo, planò sul mare e vi si tuffò sprofondando.
Le acque gorgogliarono e schiumarono, si innalzò una nuvolaglia e,
quando questa si fu dileguata, ecco che sul mare si delineò un’isola a
forma di cono, dalla cui sommità incavata uscivano lingue di fuoco e
fumo: era lo Stromboli col demonio imprigionato che soffiava fiamme e
tuoni.
Sul monte Sant’Elia si trova ancora un macigno con le impronte di unghie
lasciate dal diavolo, prima di spiccare il volo per inabissarsi nel
mare, mentre lo Stromboli, nei chiari tramonti, continua con fare
sornione a fumare la sua antica pipa.
La Fata Morgana
Se in una calda giornata estiva, passeggiando sullo splendido lungomare
reggino che D'Annunzio definì "il più bel chilometro d'Italia", vi
capitasse di vedere paesi e palazzi della costa siciliana deformarsi e
specchiarsi tra cielo e mare, vicini a tal punto da distinguerne gli
abitanti, non dovete impressionarvi. Siete solo vittime di un
incantesimo. E' la Fata Morgana, un fenomeno ottico simile a un miraggio
che si può osservare dalla costa calabra quando aria e mare sono
immobili. La leggenda racconta che anche Ruggero I d'Altavilla fu
incantato dal sortilegio. Per indurlo a conquistare la Sicilia, con un
colpo di bacchetta magica la Fata Morgana gliela fece apparire così
vicina da poterla toccare con mano. Ma il re normanno, sdegnato, rifiutò
di prendere l'isola con l'inganno. E così, senza l'aiuto della Fata,
impiegò trent'anni per conquistarla.
Il tesoro di Alarico
Re Alarico I, dopo il sacco di Roma, scese nel sud Italia dove prese la
malaria. Morì a Cosenza nel 410 d.c. dove, secondo usanza visigota,
venne seppellito insieme all'immenso tesoro sottratto a Roma proprio nel
letto del fiume Busento, che per l'occasione venne deviato dal suo corso
tramite un grande lavoro di ingegneria idraulica utilizzando centinaia
di schiavi che, dopo aver ricondotto il fiume nel suo letto naturale,
vennero trucidati dallo stesso esercito di Alarico per preservare la
segretezza del punto della sepoltura. La leggenda di Alarico e della sua
sepoltura nel Busento ha ispirato la poesia di August Graf von Platen
Das Grab im Busento (La tomba nel Busento) con una rappresentazione
romantica della morte e della sepoltura di Alarico. La poesia è stata
tradotta in italiano da Giosuè Carducci.
Cupi a notte canti suonano
da Cosenza su’l Busento,
cupo il fiume gli rimormora
dal suo gorgo sonnolento.
Su e giù pe ‘l fiume passano
e ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono
il gran morto di lor gente.
Elegante Sibari
Fu la più splendida delle colonie greche, celebre per il lusso e la
dissolutezza dei suoi abitanti, al punto che ancora oggi chi si
abbandona a una vita di piaceri viene definito un "sibarita". Vestivano
abiti di un'eleganza senza pari, tessevano l'oro, trascorrevano le notti
in festini e dormivano su giacigli di petali di rose. Forse sono
esagerazioni, ma è certo che questo popolo fosse così amante del bello e
dell'armonia da aver bandito ogni forma di violenza. I sibariti e la
loro leggendaria città furono cancellati dalla faccia della terra in un
paio di mesi per mano dei crotoniati guidati da Milone, che per
completare l'opera, su consiglio di Pitagora, arrivarono addirittura a
deviare il corso del Crati. Di tanto splendore non restano che le storie
fantastiche di uno stile di vita inarrivabile e, naturalmente, le rovine
della città. Niente di spettacolare, in verità, visto che solo una
piccola parte è stata riportata alla luce: resti di abitazioni in
località Parco del Cavallo e di un santuario dedicato ad Athena nei
pressi della stazione, dove sorge anche il Museo della Sibaritide.
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